vetri d'arte

Artisti che nel Novecento hanno fatto grande l'arte del mosaico



IL NOVECENTO



storia del mosaico

Antoni Gaudí - Lo stile eclettico dell'architetto catalano Antoni Gaudí (1852-1926) mescola forme gotiche e rinascimentali con materiali e decorazioni sperimentali. Propone nuove applicazioni del mosaico, inserendo frammenti di pietre colorate, marmi, smalti e ceramica, che vanno a ricoprire anche oggetti tridimensionali, sull’esempio della cultura azteca.
Dal 1900 al 1914 a Barcellona si svolgono i lavori a Parco Güell, una città-giardino che si estende su una superficie di 20 ettari alle pendici del Tibidabo. Pezzi di vetro e ceramica tagliati in modo non regolare, secondo la tecnica del trencadís, ovvero una rielaborazione del mosaico ceramico arabo, ricoprono ogni superficie, con violenti effetti cromatici che giocano in un susseguirsi di grotte, fontane e parapetti, abitati da animali fantastici: architetture improbabili assumono così valenze oniriche, che esaltano le forme ludiche e surreali.
Nel frattempo, Gaudí lavora anche alla Casa Milà, detta La Pedrera, un palazzo di 5 piani oggi sede di esposizioni: le tre facciate che danno sull’Eixample sono fuse in una sorta di moto ondoso di pietra, costellato dalle ringhiere metalliche dei balconi. Ogni piano ha una pianta interna diversa: particolare è l’ultimo, il sottotetto, che porta il visitatore nel ventre di una balena gigantesca. Il tetto riserva l’ultima sorpresa, con un bosco di comignoli, porte nascoste da costruzioni che assomigliano a spumiglie e un susseguirsi di scale che salgono e scendono lungo tutto il perimetro. Anche qui, ogni superficie è ricoperta di incrostazioni ceramiche e cocci di bottiglia, che catturano la luce del sole e la fanno rimbalzare in ogni angolo.
A due passi dalla Pedrera si trova la Casa Batlló, dove l’architetto catalano intervenne su un edificio già esistente, aggiungendo due piani e cambiando radicalmente la facciata. Qui dominano le linee curve, in un gioco di forme gotico-barocco, dove si fondono i materiali più eterogenei, anticipando l’informale. Sul capolavoro incompiuto e tuttora in costruzione di Gaudí, il Tempio Espiatorio della Sagrada Família (una enorme chiesa a croce latina, con cinque navate, tre facciate, un'abside e una crociera) svettano otto torri coronate da pinnacoli di ceramica.

Gustav Klimt - Nel 1903 Ravenna riceve per ben due volte la visita di Gustav Klimt: l'artista viennese rimane incantato dall’oro dei mosaici bizantini, che userà per trasfigurare la realtà e per modulare le parti piatte e plastiche con passaggi da opaco a brillante.
Nella sala da pranzo di Palazzo Stoclet, edificio progettato da Josef Hoffmann si trova un fregio musivo in tre pannelli, messo in opera nel 1911. I due pannelli più grandi raffigurano l’Albero della Vita , dove si trovano L'attesa e L'abbraccio, mentre il terzo pannello è puramente decorativo. Sui cartoni si trovano indicazioni per i mosaicisti sui materiali e il loro uso: oro, argento, smalti e pietre dure. Le superfici bianche sono realizzate in madreperla, mentre quelle colorate sono in smalto. Il fregio è stato realizzato dal laboratorio di mosaici di Leopold Forstner, che ha curato in modo particolare le ombreggiature dell’oro e i ritmi luce-ombra. I lavori sono durati per un anno e mezzo, durante il quale Klimt è continuamente intervenuto nella lavorazione. Questo fregio è l’unica opera musiva, anche se la facciata del palazzo della Secessione ha decorazioni che erano state pensate per essere realizzate in mosaico.

Gino Severini - Negli anni trenta si avvicina al mosaico Gino Severini, sia riproducendone lo sfavillio nei suoi quadri, sia realizzando diverse opere musive, di cui la sua prima commissione risale al 1933, con la Presentazione del Bambino per la chiesa di Saint Pierre a Friburgo, in Svizzera. Quest’opera è di forte ispirazione religiosa e vuole avvicinarsi alla sensibilità cristiana con una rilettura mistica dell’immagine. Nel 1936 progetta la decorazione del Piazzale e del Viale dell’Impero e della Palestra del Duce del Foro Mussolini (oggi Foro Italico): si tratta di 7500 m2 di mosaico in bianco e nero, raffiguranti immagini agonistiche, scorci naturalistici, figure simboliche. Le raffigurazioni sintetiche su fondi neutri sono evidenziate da cornici semplici o bordature tipiche dei decori romani dei primi secoli dopo Cristo. Il mosaico vuole essere un ponte tra l’Impero Romano e quello mussoliniano. I lavori saranno ultimati dalla Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo nel 1937.
Negli anni 1940-1941 realizza la decorazione del basamento della facciata del nuovo edificio delle Poste di Alessandria, e nel 1949 il Trionfo di San Tommaso, per l’università di Friburgo, opera di impianto neocubista, che vede una maggiore libertà dell’uso del mosaico e della forma, dove la vivacità del colore è sempre controllata.
A Parigi negli anni cinquanta terrà dei corsi di mosaico sovvenzionati dall’Ambasciata Italiana, proponendo una nuova cultura del mosaico e il recupero della sua cultura originale. Nello stesso periodo realizza dei mosaici di piccole dimensioni che riprendono il concetto dei mosaici portatili bizantini: prodotti regolarmente dal1949 in collaborazione col mosaicista Antonio Rocchi, ne presenterà tre alla Biennale di Venezia del 1950 nella sua personale, senza tuttavia ottenere il successo sperato.

Mario Sironi costruisce due mosaici monumentali: L’Italia corporativa (già Il lavoro fascista) per la VI Triennale di Milano del 1936, e La Giustizia tra la Legge e la Forza per l’aula della corte d’Assise del Palazzo di Giustizia. L’Italia corporativa si distingue per la grandiosità e la complessità dei risultati: misura infatti 8x12 m, dei quali solo la parte centrale verrà esposta alla Triennale di Milano del 1936. L’anno dopo verrà montato interamente per l’Exposition Internationale des Arts et Techniques dans la Vie Moderne di Parigi. In quest’opera vengono applicate le prime tecniche innovative: il mosaico viene realizzato in laboratorio, dove l’artista segue personalmente il lavoro di intaglio e di messa in opera delle tessere, montate su lastre di eternit che vengono unite in loco dai mosaicisti, risparmiando tempo e denaro.
Attraverso il mosaico, l’artista recupera gli elementi delle proprie pitture murali e ne esalta gli aspetti sintetici e volumetrici, in una stilizzazione formale estrema, con echi dell’arte bizantina, di Giotto e di Masaccio.

Achille Funi - Aderisce nel 1933 al Manifesto della pittura murale di Gino Severini assieme a Carlo Carrà e Massimo Campigli. Nello stesso anno realizza il cartone per La cavalcata delle Amazzoni, mosaico pavimentale per la V Triennale di Milano: sceglie una stilizzazione monumentale con accenti picassiani, che rende le figure rigorose e statiche.
Collabora, nel 1940, con la bottega del Mosaico di Ravenna per la decorazione del soffitto della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde di Milano: i contorni sono resi con sottili tessere che richiamano le piombature di Pella. Altra importante opera di Funi è la decorazione della Cappella di San Giuseppe in San Pietro a Roma.

Massimo Campigli - Nel 1940 Massimo Campigli realizza La Pace con la Giustizia per la VII Triennale di Milano, in collaborazione col mosaicista veneziano G. Padoan: quest’opera si differenzia dalle opere di Sironi per i toni più intimistici e una sintesi della forma con echi dell’arte antica.

Ines Morigi Berti esegue per l’artista un mosaico da cavalletto, Le bagnanti, nel 1947-48: la mosaicista è interprete straordinaria della ritmica bizantina, per i trapassi cromatici e il taglio mutevole e controllato delle tessere.

La Mostra dei mosaici moderni - All’inizio degli anni cinquanta, fu formato a Ravenna un Comitato Tecnico per la costituzione della prima Galleria del Mosaico Moderno: tale comitato aveva l’incarico di invitare venti artisti italiani e stranieri affinché fornissero cartoni pittorici destinati a essere tradotti nel linguaggio musivo. Dopo essere stata trasferita all’estero, con trentaquattro esposizioni nelle città di Europa, America e Africa, la Mostra dei Mosaici Moderni è oggi esposta permanentemente nella Loggetta Lombardesca della pinacoteca Comunale di Ravenna.
Premessa della mostra fu trovare analogie, talvolta forzate, tra i mosaici ravennati e l’arte contemporanea: i volti degli Apostoli nel Battistero degli Ortodossi con le teste di Georges Rouault; il toro di San Luca nella Basilica di Sant'Apollinare in Classe con i tori di Picasso; i dettagli decorativi, come le ceste di frutta a San Vitale con le nature morte di Braque. Si dava ancora per scontata la divisione dei ruoli di pictor imaginarius e musivarius: da una parte abbiamo quindi artisti come Massimo Campigli, Marc Chagall, Mario Deluigi, Renato Guttuso, Georges Mathieu, Emilio Vedova, mentre dall’altra gli esecutori dei mosaici sono stati, fra gli altri, Sergio Cicognani, Ines Morigi Berti, Romolo Papa, Antonio Rocchi. Anche nel catalogo della mostra (riedito nel 1999) si nota questa distinzione-discriminazione: mentre gli artisti hanno ciascuno una pagina biografica e il loro nome riportato a fianco dei cartoni, dei mosaicisti si trova solo uno sterile elenco.
Particolare è il lavoro realizzato sul cartone di Gorges Mathieu, innovativo dal punto di vista dell’impiego dei materiali: le tradizionali tessere vitree sono state tagliate in dimensioni e forme differenti, accostate a barre di smalto, blocchi e avanzi vetrosi. Mathieu partecipò anche alla realizzazione dell’opera musiva, scegliendo egli stesso i materiali da utilizzare.