vetri d'arte

Il mosaico islamico e bizantino - Donatella Zaccaria



IL MOSAICO ISLAMICO


I reperti archeologici delle città di Ur e Uruk testimoniano che i Sumeri, nel 3000 a.C., abbellivano le loro costruzioni con decorazioni geometriche realizzate inserendo, nella malta fresca, coni di argilla dalla base smaltata di bianco, nero e rosso, che servivano anche a proteggere la muratura in mattoni crudi. Ornavano poi vasi e altre suppellettili con tasselli di madreperla, lapislazzuli e terracotta. Risale a questo periodo lo Stendardo di Ur, un mosaico portatile a forma di leggìo decorato in una tecnica simile alla tarsia marmorea con lapislazzuli, conchiglie e calcare rosso: le vicende raffigurate sono narrate per fasce sovrapposte. Anche in Egitto troviamo mosaici di coni di argilla risalenti al III millennio a.C.
Possono essere inoltre considerate decorazioni musive anche le composizioni di pietre dure, pietre preziose e vetro che ornavano i sarcofagi dei faraoni. Si usavano anche mattoni smaltati, come testimonia il tempio di Sethi I ad Abydos, risalente al XIII secolo a.C. Nel II millennio a.C., in area minoico-micenea, si iniziò ad usare, in alternativa all'utilizzo dei tappeti, una pavimentazione a ciottoli che dava maggiore resistenza al calpestio e rendeva il pavimento stesso impermeabile. Ne è un esempio il mosaico pavimentale di Gordion, antica capitale della Frigia, ora Turchia, risalente all'VIII secolo a.C., decorato con motivi geometrici.

mosaico islamico

IL MOSAICO BIZANTINO


Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, che fu evidente con l'arrivo delle insegne imperiali di Romolo Augusto a Costantinopoli, il mosaico conobbe le sue espressioni più fulgide. Dal VI secolo i favolosi mosaici bizantini arrivarono anche in Italia, grazie alla riconquista ordinata da Giustiniano I, e capeggiata dal miglior generale di quei tempi, il generalissimo Belisario, per poi lasciare il posto al suo rivale Narsete. Nel 540 Belisario entrò trionfante a Ravenna, la vecchia capitale dell'Impero Romano d'Occidente, e la popolazione che si sentiva liberata festeggiò e decise che sarebbe stata decorata una chiesa per commemorare la vittoria dei bizantini sui goti: la basilica, iniziata già da Teodorico, fu chiamata San Vitale, decorata con sfarzosi mosaici, tra i quali i famosi riquadri che rappresentano da una parte Giustiniano, considerato il salvatore dell'Impero Romano, insieme a tutta la sua corte; dall'altra Teodora insieme alla sua corte. Vengono rappresentate anche scene tratte dalla Bibbia, riguardanti storie dell'Antico Testamento.
I mosaici che ornano le pareti delle basiliche delle due città imperiali, Ravenna e Costantinopoli, costituiti di tessere vetrose (smalti) e oro zecchino sono di una bellezza impareggiabile; l'impronta bizantina si distingue molto facilmente, le figure sono ferme, immobili, non hanno il senso del movimento, e non hanno un vero e proprio appoggio per i piedi, tanto che i personaggi sembrano galleggiare sullo sfondo dorato, simbolo della luce di Dio. In seguito, la figura di Teodora sarà presa come modello per la Madonna, che da ora fino al romanico e parte del gotico sarà vestita come un'imperatrice bizantina (basilissa). Il re ostrogoto Teodorico fece costruire la Basilica di Sant'Apollinare Nuovo nella sua capitale, Ravenna, facendosi ritrarre in uno dei mosaici che la decorano. Nel 540, però, quando i bizantini conquistarono la vecchia capitale dei romani d'Occidente, i mosaici raffiguranti personaggi di fede cristiana ariana, qual era Teodorico, vennero sostituiti con panneggi mosaicati: restano, tuttavia, alcuni frammenti delle decorazioni precedenti, in particolare sulle colonne. Sulla parete nord della navata troviamo la processione delle vergini, vestite di una lunga tunica drappeggiata che scende fino ai piedi, mentre sulla parete sud, è raffigurata la processione dei martiri, vestiti di bianco.
Sempre a Ravenna fu costruita Sant'Apollinare in Classe, consacrata nel 549: l'abside della chiesa è interamente mosaicato. La zona inferiore presenta alle estremità le raffigurazioni di due città che hanno le mura adorne di pietre preziose: sono Gerusalemme e Betlemme, dalle quali escono i dodici apostoli sotto l'aspetto di agnelli. Nei rinfianchi dell'arco vi sono due palme, che nella letteratura biblica sono emblema del giusto. Sotto a queste si trovano le figure degli arcangeli Michele e Gabriele, con il busto di San Matteo e di un altro santo non chiaramente identificato. Tutta la decorazione del catino absidale risale circa alla metà del VI secolo e si può dividere in due zone:
1. Nella parte superiore un grande disco racchiude un cielo stellato nel quale campeggia una croce gemmata, che reca all'incrocio dei bracci il volto di Cristo. Sopra la croce si vede una mano che esce dalle nuvole: è la mano di Dio. Ai lati del disco vi sono le figure di Elia e Mosè. I tre agnelli, che si trovano spostati un po' verso il basso, proprio all'inizio della zona verde, con il muso rivolto verso la croce gemmata, simboleggiano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni: siamo chiaramente di fronte alla rappresentazione della Trasfigurazione.
2. Nella zona più bassa si allarga una verde valle fiorita, dove ci sono rocce, cespugli, piante e uccelli. Al centro si erge solenne la figura di sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia aperte in atteggiamento di orante: è ritratto, infatti, nel momento di innalzare le sue preghiere a Dio perché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua cura, i quali sono qui rappresentati da dodici agnelli bianchi. Negli spazi tra le finestre sono rappresentati quattro vescovi, fondatori delle principali basiliche ravennati: Ursicino, Orso, Severo ed Ecclesio, vestiti in abito sacerdotale e recanti un libro in mano. Ai lati dell'abside si trovano due pannelli del VII secolo: quello di sinistra, molto rimaneggiato, riproduce l'imperatore di Bisanzio, Costantino IV, mentre conferisce i privilegi per la Chiesa ravennate a Reparato, un inviato dell'arcivescovo Mauro. Nel pannello di destra sono rappresentati Abramo, Abele e Melchisedec attorno ad un altare mentre offrono un sacrificio al Signore.
Ad Aquileia, nella basilica patriarcale di Santa Maria Assunta, si è conservato uno straordinario pavimento a mosaico di inizio del IV secolo, in uno stato di conservazione eccezionale sia per ampiezza, che per completezza delle scene e interesse iconografico, con scene dell'antico testamento, che è particolarmente interessante perché, se nella contemporanea pittura nelle catacombe a Roma si iniziava ad assistere a una semplificazione dello stile usato, a fronte di una maggior immediatezza della raffigurazione e un marcato simbolismo, ad Aquileia si notano ancora uno stile naturalistico di matrice ellenistica, sebbene già pienamente adeguato alla nuova simbologia cristiana. Si nota quindi il "pesce", ichthys in greco, acronimo di "Iesus Cristos Theou Uios Soter" ("Gesù Cristo Salvatore figlio di Dio"), le storie di Giona, esempio dell'Antico Testamento allusivo alla morte e resurrezione in tre giorni, il buon pastore, la lotta tra il gallo e la tartaruga, eccetera. Il gallo, che canta all'alba al sorgere del sole, è ritenuto simbolo della luce di Cristo. La tartaruga è simbolo del male, del peccato a causa dell'etimologia del termine che è dal greco tartarukos, "abitante del Tartaro". Recenti studi hanno evidenziato che molti simboli presenti sui mosaici sono attribuibili allo gnosticismo ed alla sua cosmologia. Una comunità di cristiani gnostici era presente in Aquileia nei primi secoli dell'era cristiana. Frequente è anche la raffigurazione musiva del nodo di Salomone.
Un caso particolare è la basilica di Santa Sofia (Hagia Sophia) di Istanbul: costruita nel VI secolo da Giustiniano I sopra le rovine di altre chiese precedenti, venne decorata inizialmente con motivi geometrici e floreali. Fu arricchita, dopo il periodo iconoclasta, con immagini figurative, di cui restano Cristo in trono, la Madonna in trono col Bambino, l'arcangelo Michele, l'imperatore Leone VI il Saggio e i Padri della Chiesa.
Nel XV secolo i musulmani invasero Costantinopoli e trasformarono la basilica in moschea, scialbando tutti i mosaici: solo nel 1935, quando la chiesa venne trasformata in museo, vennero riportati alla luce.